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Sulle tracce di una pista aperta da queste semplici osservazioni, un tentativo di identificazione del personaggio si può tuttavia azzardare grazie anche ai preziosi suggerimenti offertici dal Signor Mario Scalini, che qui ringraziamo sentitamente, allorché presentammo per la prima volta il dipinto a Firenze alla Biennale Internazionale di Palazzo Corsini (settembre 2022).
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Un’ipotesi identificativa affascinante, che ancora è in cerca di conferme.
Due altri punti sembrano tuttavia indicarci l’ipotesi come corretta.
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L’altro punto è la seta delle vesti, di un biancore cangiante, quasi abbagliante.
Oltre a dirigere la sua scuola di scherma, il Marozzo possedeva e gestiva un opificio per la lavorazione della seta.Il 9 giugno 1531, il comune di Bologna concede a “Achilli de Marociis quondam Ludovici artis gladiatorie magistro” il permesso di edificare un mulino per estrarre due once e mezzo d’acqua dal canale del Reno – nei pressi appunto della casa e della sua scuola – con la finalità di alimentare un filatoio costruito nella propria abitazione.
Oltre a dirigere la sua scuola, dunque, il Marozzo reinvestiva le sue rendite di maestro schermidore nella produzione tessile di questo filato prezioso; una fonte di reddito certo non secondaria.
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All’attento lettore non sarà sfuggito un passaggio preciso nel nostro scritto.
Si indica il ritratto come un ritratto postumo di Achille Marozzo.
Alla morte del Marozzo, nel 1553, Bartolomeo Passerotti aveva giusto 24 anni, il referto stilistico porta, tuttavia, a datare il dipinto sul 1570 e il 1575.
Come spiegare questo divario?
Niente di così sbalorditivo o stupefacente, non sarebbe infatti un caso isolato nella produzione nota del Passerotti.
Ritrattista conteso da tutte le principali famiglie nobili bolognesi, per molte di queste, egli si occupò di produrre ritratti postumi degli antenati sulla base di dipinti più antichi esistenti, per collocarli nelle gallerie degli avi o degli uomini illustri tanto in voga all’epoca.
Un esempio per tutti, la serie dei ritratti di Filippo, Ovidio, Lattanzio e Gaspare Bargellini (Bologna, Museo Davia-Bargellini); dei quattro ritratti solo il penultimo fu condotto probabilmente dal vero, mentre invece quello di Gaspare fu realizzato post mortem.
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La posa avvitata e manierata della figura, il punto di vista in un leggero di sotto in sù, secondo una prospettiva contraria a quella più tipicamente usuale del Passerotti, appaiono come elementi di stile più tipici della ritrattistica di primo ‘500, sul 1530 circa per esempio.
Che questo dipinto sia stato commissionato da qualche nobile discepolo del Marozzo in memoria del suo illustrissimo maestro?
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Che il dipinto sia eseguito dall’altrettanto grande Bartolomeo Passerotti non v’è dubbio alcuno; un confronto col bellissimo Ritratto del medico Carlo Fontana, riferibile agli stessi anni, è da solo sufficientemente eloquente.
Davide Trevisani